ANNINA

Quando il marito le comunicò che aveva maturato l’idea di emigrare in America, Annina fu subito molto contenta. Oltretutto, la cosa era facilmente realizzabile, si disse tra sé, avendo lei uno zio che si era trasferito negli Stati Uniti da molti anni.Questi avrebbe provveduto al necessario atto di richiamo, senza il quale non sarebbe stato possibile emigrare nella cosiddetta America ricca, come si diceva allora, per distinguerla dall’America povera,costituita , in genere, da tutto il Sud America; ma, in particolare, dall’Argentina, perché destinataria del maggior flusso migratorio.
Evviva ! si diceva Annina. Basta con questa vita di stenti e fatica! Non sarebbe più stata costretta a strappare la sopravvivenza, propria e della sua famiglia, a quelle terre aride e ingenerose, rubate alla montagna, palmo a palmo, con la vanga e con il piccone; dure come la pietra! Ammorbidite soltanto dal sudore che scorreva a rivoli, attraverso quella rete sempre più fitta di solchi e di canali che il sole, gli stenti e la fatica avevano scavato prematuramente sui loro volti ancora giovani.
Non si sarebbe mai più inerpicata per quelle salite così ripide che già il tenersi in piedi richiedeva sforzi immani.Fortuna che i suoi terreni erano disseminati ,qua e là, di qualche arbusto di quercia o di perastro, provvidenzialmente sfuggiti all’avidità distruttrice delle capre; il solo animale in grado di arrampicarsi agevolmente per quelle scarpate, facendo quotidiane razzie di ogni tipo di germoglio. A lei sembrava che quegli esili alberelli fossero stati sistemati qua e là da una mano premurosa, non per contenere i frequenti smottamenti del terreno, ma per consentire ai contadini di aggrapparvisi per potersi tenere in piedi o, in caso di caduta, per frenare i loro ruzzoloni che, altrimenti, si sarebbero conclusi solo sui binari della ferrovia sottostante.
E si sarebbe riposata a suo piacimento e a lungo; e in maniera comoda! Non come facevano suo padre e sua madre, che si concedevano, a parte quelle per i bisogni corporali e quelle per consumare il magro pasto quotidiano, soltanto brevissime pause, nel corso della giornata. Rimanendo, però, in piedi; solo appoggiando un gomito sull’estremità della zappa, per scaricare il peso dalla schiena;Come per mettersi in posa, per una di quelle istantanee di altri tempi in cui gli occhi spalancati e fissi e il corpo rigido tradivano un atteggiamento di circospezione, quasi di difesa, contro gli attacchi della vita; istantanee mai fissate da alcun obiettivo ma impressionate per sempre nella sua memoria.
Si diedero subito da fare lei e il marito per preparare i documenti necessari e per sbrigare tutte le pratiche per l’imbarco.Dopo poco tempo, il marito partì, impegnandosi,tra abbracci e lacrime, a fare l’atto di richiamo per lei e per i bambini, nel più breve tempo possibile.
Annina, dell’America, sapeva soltanto che si trovava in  un’altra parte di mondo, non raggiungibile neanche con l’immaginazione, tanto era lontana; però, una sua idea se l’era fatta, grazie ai racconti di qualche compaesano che vi era stato per qualche anno e poi aveva fatto ritorno al paese.  Questi raccontavano di case così alte da non poterci salire a piedi e di cui, dalla strada, non si riusciva a scorgere neanche il tetto; di carrozze senza cavalli, spaziose come case; di strade ampie, pianeggianti e illuminate come quelle di Baragiano, la sera della festa di San Rocco; di negozi che esponevano nelle vetrine ogni ben di Dio e così grandi da contenere tutte le bancarelle che arrivavano in paese, ogni anno,per la fiera del 2 Luglio.
E poi, dai pacchi  che, di tanto in tanto, lo zio le spediva, si capiva che in quel paese si viveva nell’abbondanza. I pacchi contenevano, oltre a caramelle e tavolette di cioccolata ,una grande quantità di abiti smessi, però come nuovi, di stoffe sintetiche dai mille colori, con svolazzi e strass luccicanti, colli di pelliccia,guanti di seta e di velluto che vestivano il braccio fino al gomito, cappelli con veletta, borsette sgargianti di varia foggia e scarpe, scarpe, scarpe……………………...
Peccato che lei non aveva potuto mai indossare tutto questo ben di Dio, perché si trattava di cose tutte poco adatte alla vita dei campi. Ma lì, in America, sì che avrebbe potuto; e si vedeva già come una signora,sempre ben agghindata, impegnata ad occupare il suo tempo, passando da un salotto all’altro, da una festa all’altra.
Il marito, che aveva frequentato appena la prima elementare in una pluriclasse di una scuola di campagna, le scriveva ogni tanto qualche riga, con grafia molto incerta, appena leggibile; e il testo delle sue lettere era sempre lo stesso :

Cara moglie,
io sto bene e così spero anche di voi. Tanti cari saluti e sono il tuo affezionatissimo marito
Antonio.
Tanto sapeva scrivere e tanto scriveva! Ma anche se  avesse avuto la capacità di comporre un testo più lungo, sul foglio,non ci sarebbe stato spazio sufficiente ,perché quelle scarne notizie avevano già impegnato tutte e due le facciate, essendo i caratteri così grandi che ogni parola occupava mezza pagina.Ma a lei tanto bastava perché era sicura che il marito aveva cambiato vita in modo radicale; e, quando pensava a lui, se lo immaginava inserito in un mondo in cui si faceva vita di società e dove si frequentavano persone ben istruite ed altolocate. A poco a poco, però, avvicinandosi sempre più il momento della sua partenza, Annina cominciò a pensare di non essere preparata ad entrare in quel mondo per il quale si sentiva inadeguata: Questo pensiero non l’abbandonava più; anzi, più i giorni passavano, più questo senso di paura cresceva; finché un giorno non ne parlò con una cugina ed una sua commara, che, spesso, la sera, andavano a farle visita, intrattenendosi con lei, accanto al focolare, commentando i fatti del paese.Queste passavano ai suoi occhi per persone  istruite perché avevano frequentato le scuole fino alla quinta elementare; e poi, una era la moglie di un falegname e l’altra faceva la sarta, per cui appartenevano ad un rango sociale più elevato rispetto a lei,umile contadina.
Esse conoscevano le buone maniere, avendo appreso le regole del buon vivere dai romanzi di Sibilla Alerano e di Liala che erano le loro letture preferite. Perciò, appena conosciuto il problema di Annina, detto fatto, cominciarono a darle lezione di galateo. A partire da quel momento, ogni sera, davanti al focolare, si svolgeva questa scena. Annina impersonava se stessa. Angela, la cugina, recitava il ruolo di una signora americana dell’alta società, che il marito, nella sua immaginazione,frequentava abitualmente per un drink o per un party; Teresa, che era un po’ la regista di questa commedia, faceva la parte del marito. Per rendere più realistica la scena, Annina, su suggerimento di Teresa, recuperò dal comò un po’ di quella roba che lo zio le aveva mandato dall’America in tanti anni e che lei, con suo grande rammarico, non aveva mai avuto occasione di indossare; e si vestì come una vera signora. Teresa, in qualità di sarta, le adattò con degli spilli un vestito troppo ampio e troppo lungo per lei; le mise in testa un cappello con la veletta che, provocandole un po’ di solletico sulla punta del naso, le faceva fare strane smorfie con tutto il viso; le trovò un paio di guanti di velluto, troppo stretti per le sue mani callose; le appese al braccio la borsetta che più si adattava all’insieme e che lei teneva come se fosse stato il paniere dei fichi raccolti nell’orto sotto casa; infine,per completare la sua trasformazione in vera signora americana, le scelse un paio di scarpe più appuntite di un chiodo e con dei tacchi a spillo così alti che Annina si domandò come  ci si potesse salire. E infatti, quella delle scarpe era l’impresa più ardua, perché Annina, anche quando riusciva a salirvi, con l’aiuto delle due assistenti, essendo poco avvezza a calzare questo tipo di scarpe, non riusciva a reggersi in piedi e precipitava subito giù. Eppure, lei coi trampoli ci sapeva fare. Quante volte li aveva montati per attraversare la fiumara in piena ! Ma lì era più facile perché ci si teneva aggrappati ben stretti alle due aste e i trampoli si tenevano in piedi ! Qui era più complicato perché non c’era niente a cui aggrapparsi e bisognava reggersi in equilibrio senza appoggio; la regista dopo ripetuti tentativi non andati a buon fine , resasi conto della difficoltà, riuscì a risolvere questo problema tecnico,facendola appoggiare al camino che era giusto alla sua altezza ed ordinandole di non togliere mai il braccio dalla mensola. In tal modo, Annina, pienamente rispettosa della consegna della regista, assumeva un posizione così rigida e teneva lo sguardo così fisso su Teresa, per non farsi sfuggire nessun suggerimento, da sembrare uno di quei manichini che addobbano le vetrine dei negozi di abbigliamento nei giorni che precedono le grandi feste.
Per la vestizione, Teresa si ispirava alle numerose fotografie scattate in occasione di matrimoni di figli di compaesani emigrati in America che facevano bella mostra di sé dai vetri delle cristalliere delle cucine di quasi tutte le case del paese.
Per Angela fu sufficiente solo un collo di pelliccia mentre Teresa indossava una giacca da uomo, recuperata come tutto il resto del vestiario dal guardaroba dello zio.
Una volta impartite tutte le istruzioni del  caso, veniva dato il ciak, si gira:
Marito ( Teresa ) :Ho il piacere e l’onore di presentarvi la mia signora, appena arrivata dall’Italia.
Signora americana ( Angela ) : Lieta di fare la vostra conoscenza .
Annina : Il piacere è tutto mio.
Signora americana : Come state signora ?
Annina : Bene, grazie. E a voi, ci vuol domanda ?
Ripetuta più volte la scena delle presentazioni, si passava a provare quella del commiato, in cui la parte della protagonista la faceva Annina che aveva la battuta più lunga :
Annina : Sono molto felice e onorata di aver fatto la vostra conoscenza.
Le altre due erano relegate, invece, al ruolo di poco più che comparse, perché la signora americana doveva solo sorridere e il marito prendere la moglie sottobraccio, per avviarsi insieme verso l’uscita.
Questa scena si ripeté ogni sera, in casa di Annina,per tutto il lungo inverno, senza alcuna variante.
A nessuna delle tre venne mai in mente che in America non si parla italiano. Nemmeno a me, spettatore involontario e divertito ma troppo piccolo per poterglielo ricordare!